Il Libro di Daniele
Nei primi 6 capitoli si racconta la storia di Daniele, deportato giovinetto a Babilonia al tempo di Ioiakim re di Giuda, e presentato subito come l’ebreo esemplare (come lo hanno definito i biblisti), che si rifiuta categoricamente di cedere al culto politeistico[senza fonte].
Nel capitolo 2 egli scioglie l’enigma del sogno di Nabucodonosor, rappresentato dalla celebre statua con il capo d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi di ferro ed argilla. L’immagine è talmente famosa da essere stata ripresa anche da Dante Alighieri nella Divina Commedia, nella descrizione del Veglio di Creta:
« La sua testa è di fin oro formata, e puro argento son le braccia e il petto, poi è di rame infino a la forcata; da indi in giuso è tutto ferro eletto, salvo che ‘l destro piede è terra cotta; e sta ‘n su quel più che ‘n su l’altro, eretto. » |
(Inferno XIV, 103-111) |
In effetti i quattro metalli rappresentano quattro imperi (quello neo-babilonese, quello persiano, quello di Alessandro Magno, quello siriano dei Seleucidi), mentre i piedi in parte di ferro e in parte d’argilla alludono, secondo alcuni, forse al matrimonio tra Antioco II di Siria e Berenice d’Egitto, secondo altri all’impero romano, secondo altri ancora potrebbe riferirsi all’impero britannico che dominò sulla Palestina agli inizi del novecento.[2]
Il capitolo 3 descrive il famoso episodio dei tre giovani nella fornace, con il celebre Cantico di Azaria, Anania e Misaele che è tra le fonti ispiratrici del Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi.
Nel capitolo 4 parla Nabucodonosor in prima persona, descrivendo il sogno del grande albero. Invece il capitolo 5 presenta una cesura netta, perché il re non è più Nabucodonosor ma Baldassar, un suo discendente, e Daniele è ormai anziano. L’episodio qui narrato è anch’esso celeberrimo, immortalato tra l’altro da Rembrandt ne Il festino di Baltassar, olio su tela ora alla National Gallery di Londra: il re, offuscato dai fumi dell’alcool, si mette a banchettare negli arredi sacri derubati al Tempio di Gerusalemme, compiendo un grave sacrilegio, e subito compaiono dal nulla delle dita che scrivono le tre parole «Mene, Teqel, Peres», cioè «misurare, pesare, dividere». È Daniele a decifrare l’enigma, annunciando al re il terribile decreto divino: Dio ha misurato i giorni del re e vi ha posto fine; è stato pesato sulla bilancia e trovato leggero; il suo regno sarà diviso e dato ai Medi e ai Persiani. La profezia si compie puntualmente.
Nel capitolo 6 infine c’è la prima versione dell’episodio di Daniele nella fossa dei leoni (la seconda versione è nel capitolo 14).
Le profezie
Daniele in mezzo ai leoni.
Dipinto di Pieter Paul Rubens.
I capitoli 7-12 rappresentano una diversa sezione, caratterizzata da una serie di visioni, definite notturne; il libro entra così nella sua parte più propriamente apocalittica.
La prima (capitolo 7) è quella delle quattro bestie.[3] Anche queste bestie simboleggiano in effetti dei regni, e c’è posto anche per Antioco IV Epifane, il persecutore degli Ebrei che avevano storpiato il suo nome in Epimane (il pazzo), e contro cui insorsero i fratelli Maccabei.
Ben più importante, anche in vista della lettura cristologica che ne ha fatto il Nuovo Testamento, è la visione dell’Antico di Giorni e del Figlio dell’Uomo (titolo che Gesù applicò a se stesso). Le successive visioni sono quella dell’ariete e del capro e quella delle settanta settimane (vedi più sotto), composte da anni e non da giorni, ricordata anche da Alessandro Manzoni:
« …Quando, assorto in suo pensiero, lesse i giorni numerati, e degli anni ancor non nati Daniel si ricordò. » |
(Alessandro Manzoni, La Resurrezione) |
Infine, il capitolo 11 contiene la successione dei sovrani fino alla morte del re Antioco, importante per datare il libro, mentre il capitolo 12 è il più “apocalittico” di tutti, trattando della risurrezione finale e degli ultimi tempi. Un testo destinato a dare speranza ai confratelli, in un’epoca di fiera persecuzione.[senza fonte]
L’appendice deuterocanonici
I capitoli 13 e 14, considerati canonici dalla Chiesa cattolica e dalle chiese Ortodosse, ma non da Ebrei e Riformati, contengono due episodi molto noti. Il primo è la storia di Susanna, che più volte ha ispirato gli artisti ed è la parabola del giusto innocente, accusato ingiustamente ma salvato dal Signore per mezzo di un suo inviato, in questo caso il fanciullo Daniele. Nella Septuaginta questo capitolo è posto per primo nel Libro di Daniele, in accordo con l’età del profeta. Venne posto dopo il testo ebraico e aramaico nella Vulgata di Sofronio Eusebio Girolamo; questi infatti non lo ritenne canonico.
Nel secondo, compare un Daniele anziano, in accordo con la posizione di questo capitolo, che concludeva il libro di Daniele nella bibbia greca. Egli compie due grandi imprese sotto il regno di Ciro il grande: prima smaschera l’inganno dei sacerdoti del dio Bel che di notte consumavano i cibi offerti all’idolo e l’indomani affermavano che erano stati mangiati dal dio, e poi uccide il drago adorato dai babilonesi. Per questo Daniele finisce di nuovo nella fossa dei leoni, ma un angelo del Signore chiude la bocca alle fiere e ordina ad Abacuc il profeta di sfamare Daniele nella fossa. Alla fine Ciro lo fa liberare e proclama la grandezza del Dio d’Israele. Secondo l’ordine dei libri biblici della Septuaginta questa proclamazione concludeva l’antico testamento.
Queste storie, che mettono in luce la protezione che Dio accorda al giusto, qualificano Daniele come scopritore di imposture, in accordo con il resto del libro in cui si condanna la pretesa degli imperatori di esigere culto divino. Nella Septuaginta questi due capitoli in greco includono il testo originalmente ebraico, che a sua volta include i capitoli il cui testo ci è pervenuto solo in aramaico.
(tratto da Wikipedìa)