Sofronio Eusebio Girolamo (in latino: Sofronius Eusebius Hieronymus), noto anche come san Girolamo, Gerolamo o Geronimo, (Stridone in Istria, 347 – Betlemme, 30 settembre 420) è stato un biblista, traduttore, teologo e monaco cristiano romano.
Nato a Stridone in Illiria, “al confine fra Pannonia e Dalmatia”, come risultava nel IV secolo d. C. (oggi in Croazia), studiò a Roma e fu allievo di Mario Vittorino e di Elio Donato. Si dedicò anche agli studi di retorica, terminati i quali si trasferì a Treviri, dove era ben nota l’anacoresi egiziana, insegnata per qualche anno da Sant’Atanasio durante il suo esilio[1]. Si trasferì poi ad Aquileia, dove entrò a far parte di una cerchia di asceti riunitisi in comunità sotto il patronato dell’arcivescovo Valeriano, ma, deluso dalle inimicizie che erano sorte fra gli asceti, partì per l’Oriente[1]. Ritiratosi nel deserto della Calcide, vi rimase un paio di anni (375 – 376) vivendo una dura vita di anacoreta.
Fu questo periodo ad ispirare i numerosi pittori che lo rappresenteranno come San Girolamo penitente ed è a questo periodo che risale l’episodio leggendario del leone che, afflitto da una spina penetratagli in una zampa, gli sarebbe poi stato accanto, grato poiché Girolamo gliel’avrebbe tolta; così come la tradizione secondo la quale Girolamo era uso far penitenza colpendosi ripetutamente con un sasso[1].
Deluso anche qui dalle diatribe fra gli eremiti, divisi dalla dottrina ariana, tornò ad Antiochia, da dove era passato prima di venire in Calcide, e vi rimase fino al 378, frequentando le lezioni di Apollinare di Laodicea e divenendo presbitero, ordinato dal vescovo Paolino di Antiochia. Si recò quindi a Costantinopoli, dove poté perfezionare lo studio del greco sotto la guida di Gregorio Nazianzeno (uno dei Padri Cappadoci). Risalgono a questo periodo le letture dei testi di Origene e di Eusebio.
Allorché Gregorio Nazianzeno lasciò Costantinopoli, Girolamo tornò a Roma, nel 382, dove fu segretario di papa Damaso I, divenendone il più probabile successore. Qui si formò un gruppo di vergini e di vedove, capeggiate dalla matrona Marcella e dalla ricca vedova Paola, cui si accompagnarono le figlie Eustochio (detta anche Giulia) e Blesilla, che vollero dedicarsi ad una vita ascetica fatta di preghiera, meditazione, astinenza e penitenza e delle quali Girolamo divenne padre spirituale[2].
Il rigore morale di Girolamo, però, che era decisamente favorevole all’introduzione del celibato ecclesiastico e all’eradicazione del fenomeno delle cosiddette agapete, non era ben visto da buona parte del clero, fortemente schierato su posizioni giovinianiste. In una lettera ad Eustochio, Girolamo si esprime contro le agapete nei seguenti termini:
«Oh vergogna, oh infamia! Cosa orrida, ma vera! Donde viene alla Chiesa questa peste delle agapete? Donde queste mogli senza marito? E donde in fine questa nuova specie di puttaneggio?» |
(dalla Lettera a Eustochio, Sofronio Eusebio Girolamo) |
Ordo seu regula
Alla morte di papa Damaso I, la curia romana contrastò con grande determinazione ed efficacia l’elezione di Girolamo, anche attribuendogli una forte responsabilità nella morte della sua discepola Blesilla. Questa era una nobile ventenne romana, appartenente alla gens Cornelia, che era rimasta vedova ancor fanciulla e che aveva seguito la madre Paola e la sorella Eustochio nel gruppo di dame che avevano deciso di seguire la vita monastica con le rigide regole di Girolamo, morendo ben presto, probabilmente a causa dei troppi digiuni. Data la singolarità dell’evento e la grande popolarità della famiglia di Blesilla, il caso sollevò un grande clamore. Caduta la sua candidatura, sul finire del 384, fu eletto papa il diacono Siricio.
Girolamo decise allora di lasciare Roma alla volta dell’Oriente. Nell’agosto del 385 s’imbarcò dal porto di Ostia col fratello Paoliniano, il presbitero Vincenzo ed alcuni monaci a lui vicini. Successivamente lo raggiunsero le discepole Paola, Eustochio ed altre appartenenti alla comunità delle ascete romane[3]. Giunto a Gerusalemme, si dedicò alla traduzione della Sacra Scrittura direttamente dall’ebraico al latino. Paola fondò a Betlemme un monastero maschile ed uno femminile, dove andò a vivere[4]. Insieme alla figlia ed a Girolamo visitò la Terrasanta; tutti e tre decisero di rimanerci fino alla fine dei loro giorni[5]. Nel 386 Girolamo andò a vivere nel monastero maschile, dove rimase fino alla morte. Qui visse dedicandosi alla traduzione biblica, alla redazione di alcune opere ed all’insegnamento ai giovani. Anche questo periodo ha ispirato numerosi pittori, che lo ritraggono, ispirato dallo Spirito Santo, come estensore della Vulgata nella sua cella monastica, accompagnato dal fido leone[3]. Nel 404 morì la sua discepola Paola, che verrà poi venerata come santa, ed alla quale egli dedicò post mortem l’Epitaphium sanctae Paulae.Gli ultimi suoi anni sono rattristati dalla morte di molti amici, e dal sacco di Roma compiuto da Alarico nel 410: un evento che angoscia la sua vecchiaia. Morì nel 420, proprio nell’anno in cui il celibato, dopo essere stato lungamente disatteso, venne imposto al clero da una legge dell’imperatore Onorio.
Opere
Vulgata
La Vulgata, prima traduzione completa in lingua latina della Bibbia, rappresenta lo sforzo più impegnativo affrontato da Girolamo. Nel 382, su incarico di papa Damaso I, affrontò il compito di rivedere la traduzione dei Vangeli e successivamente, nel 390, passò all’antico testamento in ebraico, concludendo l’opera dopo ben 23 anni[6]. Nelle Quaestiones hebraicae in Genesim, composte a sostegno della sua attività pluridecennale, anzi, si confronta il testo della Genesi nella traduzione Vetus latina con il testo ebraico a lui accessibile e con la LXX a giustificazione delle scelte operate nella Vulgata.
Il testo di Girolamo è stato la base per molte delle successive traduzioni della Bibbia, fino al XX secolo, quando per l’antico testamento si è cominciato ad utilizzare direttamente il testo masoretico ebraico e la Septuaginta, mentre per il Nuovo Testamento si sono utilizzati direttamente i testi greci. Dalla Vulgata sono tratte le pericopi per l’epistola e il Vangelo della Messa tridentina[7].
Girolamo fu un celebre studioso del latino in un’epoca in cui questo implicava una perfetta conoscenza del greco. Fu battezzato all’età di venticinque anni e divenne sacerdote a trentotto anni. Quando cominciò la sua opera di traduzione non aveva grandi conoscenze dell’ebraico, perciò si trasferì a Betlemme per perfezionarne lo studio.
Girolamo utilizzò un concetto moderno di traduzione che attirò le accuse da parte dei suoi contemporanei; in una lettera indirizzata a Pammachio, genero della nobildonna romana Paola, scrisse:
«Io, infatti, non solo ammetto, ma proclamo liberamente che nel tradurre i testi greci, a parte le Sacre Scritture, dove anche l’ordine delle parole è un mistero, non rendo la parola con la parola, ma il senso con il senso. Ho come maestro di questo procedimento Cicerone, che tradusse il Protagora di Platone, l’Economico di Senofonte e le due bellissime orazioni che Eschine e Demostene scrissero l’uno contro l’altro […]. Anche Orazio poi, uomo acuto e dotto, nell’Ars poetica dà questi stessi precetti al traduttore colto: “Non ti curerai di rendere parola per parola, come un traduttore fedele”» |
(Epistulae 57, 5, trad. R. Palla) |
Nonostante la fierezza riportata all’interno di questa missiva, San Girolamo visse a pieno il tipico dissidio degli umanisti medievali: tesi tra l’amore per le lettere e l’amore per Dio. La soluzione a questo contrasto interiore fu espressa dallo studioso sempre all’interno di una lettera, ovvero l’Epistula ad Magnum, all’interno della quale sono citati numerose testimonianze della possibilità di un uso quanto meno strumentale dei testi classici. A tal proposito, ad esempio, Eli si propose di fare come David il quale uccise Golia con la sua stessa arma.
Opere storiografiche e Agiografiche
Il De Viris Illustribus, scritto nel 392, intendeva emulare le “Vite” svetoniane dimostrando come la nuova letteratura cristiana fosse in grado di porsi sullo stesso piano delle opere classiche. In esso sono presentate le biografie di 135 autori in prevalenza cristiani (ortodossi ed eterodossi), ma anche ebrei e pagani, che però hanno avuto a che fare con il cristianesimo, con uno scopo dichiaratamente apologetico:
«Sappiano Celso, Porfirio, Giuliano, questi cani arrabbiati contro Cristo, così come i loro seguaci che pensano che la Chiesa non ha mai avuto oratori, filosofi e colti dottori, sappiano quali uomini di valore l’hanno fondata, edificata, illustrata, e cessino le loro accuse sommarie di semplicità rozza rivolte alla nostra fede, e riconoscano piuttosto la loro ignoranza» |
(Prologo, 14) |
Le biografie hanno inizio da Pietro apostolo e terminano allo stesso Girolamo ma, mentre nelle successive Girolamo elabora conoscenze personali, le prime 78 sono frutto di conoscenze di seconda mano, desunte da varie fonti, tra cui Eusebio di Cesarea[8].
il Chronicon è, invece, una traduzione-rielaborazione latina del Chronicon di Eusebio di Cesarea, composto nel IV secolo e perduto nella sua originale versione greca. Ultimato nel 381, il Chronicon tratta dei periodi storici e mitici della Storia universale a partire dalla nascita di Abramo fino all’anno 325. Nell’impalcatura cronologica, estesa dal 325 al 378, rientrano sia figure mitologiche come Minosse, il re Edipo e Priamo, che personaggi storici, mentre Girolamo, per completezza, inserisce anche dati preziosi di letteratura latina, desunti dal De viris illustribus svetoniano[9].
Una sorta di curiosa commistione tra storia, romanzo e agiografia sono le Vite degli eremiti San Paolo di Tebe, Sant’Ilarione e San Malco.
Tutte le opere storiche ed agiografiche di san Girolamo sono state pubblicate nell’originale latino e tradotte in italiano in: Bazyli Degórski (a cura di), Girolamo. Opere storiche e agiografiche. Vita di san Paolo, eremita di Tebe. Vita di Ilarione. Vita di Malco, l’eremita prigioniero. Prefazione alla traduzione delle Cronache di Eusebio di Cesarea. Continuazione delle Cronache di Eusebio di Cesarea. Gli uomini illustri. Prefazione alla traduzione della Regola di Pacomio, in Opere di Girolamo, XV, Roma, Città Nuova, 2014.
Opere polemiche
La Altercatio Luciferiani et Orthodoxi, composta nel 378 circa, rappresenta un dialogo tra Lucifero da Cagliari, un antiariano, e un ortodosso anonimo. Cinque anni dopo, nello Adversus Helvidium, scritto nel 383, Girolamo polemizza contro Elvidio, che dichiarava che la Vergine Maria dopo aver generato Gesù avesse partorito altri figli. Nella seconda parte del testo Gerolamo esalta con lodi la verginità della Madonna[10].
Ancora di polemica teologico-liturgica trattano Adversus Vigilantium, in cui si attacca spietatamente Vigilanzio e il suo pensiero, secondo cui la vita dedita al culto dei martiri e del rispetto delle regole di Dio fosse sbagliata e noiosa; Contra Ioannem Hierosolymitanum, una polemica contro i sostenitori di Origene, in cui Girolamo sostiene che il dotto di Cesarea, sebbene buon traduttore della Bibbia, avesse posizioni eretiche e che quindi non poteva far parte del mondo di Dio. Di conseguenza Girolamo accusa anche un vescovo chiamato Giovanni, che appoggiava le teorie origeniane. Di simile stampo è il Contra Rufinum, in cui si attacca l’origeniano Rufino. Facendo, anzi, appello ad un’operetta comica chiamata “Testamento di Grugno Corocotta Porcello”, Gerolamo usa un ampio lessico dispregiativo contro Rufino, denigrandolo nella sua cerchia di amici intimi.
Notevolissimo, tra le opere polemiche, è il trattato Adversus Jovinianum, scritto nel 393 in due libri, in cui l’autore esalta la verginità e l’ascetismo, spesso derivando le sue argomentazioni da autori classici come Teofrasto, Seneca, Porfirio.
Tra gli altri argomenti, in esso Girolamo difende strenuamente l’astinenza dalla carne:
«Proprio come il divorzio secondo la parola del Salvatore non fu permesso fin dal principio, ma a causa della durezza del nostro cuore fu una concessione di Mosè alla razza umana, così anche il mangiar carne fu sconosciuto fino al diluvio. Ma dopo il diluvio, alla maniera delle quaglie date nel deserto al popolo che mormorava, il veleno della carne animale fu offerto ai nostri denti. […] Agli albori della razza umana non mangiavamo carne, né facevamo pratiche di divorzio, né pativamo il rito della circoncisione. Così abbiamo raggiunto il diluvio. Ma dopo il diluvio […] ci è stata data la carne come cibo, e il divorzio è stato permesso agli uomini duri di cuore, ed è stato applicato il taglio della circoncisione, come se la mano di Dio avesse plasmato in noi qualcosa di superfluo. Ma una volta che Cristo è venuto alla fine dei tempi, e l’Omega è passata in Alfa e la fine è stata mutata in principio, non ci è più permesso il divorzio, né siamo circoncisi, né mangiamo carne» |
(Adversus Iovinianum, I, 18[11]) |
Nello specifico, all’interno del trattato, la parte relativa all’alimentazione corrisponde alla terza sezione [PL 23,303-326]. In essa Gerolamo per controbattere alla tesi di Gioviniano, secondo la quale “l’astinenza non è migliore dell’assunzione riconoscente del cibo”, ribadisce l’importanza del digiuno non solo nella tradizione della Chiesa ma anche nella storia della filosofia[12].
Nel trattato Adversus Pelagianos, infine, si confuta Pelagio e le dottrine sulla libertà fisica e della mente