Gregòrio I papa, detto Magno, santo. – Di nobile famiglia (Roma 540 circa – ivi 604), nella sua giovinezza ebbe preparazione culturale, relativamente ai suoi tempi, assai buona, arricchita in seguito da studî biblici e patristici molto vasti, avvertendo profondo l’influsso specialmente di s. Agostino.
L’esperienza politica e amministrativa, che risalta con evidenza dalla su85-86 procurandosi preziose amicizie e vasta esperienza politica. Tornato a Roma, alla morte di Pelagio II fu elevato, per designazione unanime nonostante alcune resistenze, al soglio pontificio (590). Non più giovane, tormentato da sofferenze fisiche e morali, G. poté tuttavia sviluppare un’attività veramente straordinaria, solo in parte documentataci dal Registro delle sue lettere. Convinto di essere stato chiamato a reggere la Chiesa nell’imminenza della fine dei tempi e consapevole della sua immensa responsabilità verso i fedeli, non si risparmiò fatiche per migliorare le condizioni materiali e religiose di Roma, dell’Italia, dell’Europa, in un momento particolarmente difficile per i problemi rappresentati dagli insediamenti barbarici, per le carestie, per il venir meno della organizzazione civile dell’Impero. G. assunse, nella diffusa rarefazione della resistenza bizantina, l’iniziativa per un’opera di contenimento e, nel contempo, di avvicinamento ai Longobardi, giovandosi specialmente dei rapporti amichevoli con la regina Teodolinda e dell’influenza che, per suo tramite, poté esercitare sul re Agilulfo. Con ciò suscitò i sospetti di Bisanzio, e solo dopo chiarificazioni fu possibile giungere a un accordo tra Longobardi e Bizantini (598), di cui G. si giovò per convertire i Longobardi ancora ariani. Buoni rapporti conservò anche con i sovrani franchi e visigoti, ottenendo il loro appoggio nel governo di quelle diocesi, lontane e spesso affidate in mani non del tutto degne. Fondamentale poi fu la sua opera nella vita della Chiesa. Fermissimo nella difesa dell’ortodossia e della dignità della Chiesa romana, si batté per eliminare lo scisma dei Tre capitoli in Istria e per contestare al patriarca di Costantinopoli il titolo di ecumenico, cioè universale, facendo osservare che tale designazione spettava se mai al solo vescovo di Roma; del resto contrappose a questo titolo quello umile di servus servorum Dei, dopo di lui ripetuto da tutti i suoi successori. Intervenne inoltre nella vita delle diocesi, ora per agevolare e consigliare l’elezione di vescovi degni, ora per eliminare abusi e violenze, ora per rialzare il tono della vita cristiana: notevole in questo ambito la difesa degli Ebrei, cui assicurò tranquillo esercizio di culto, pur desiderando ardentemente la loro conversione. Fervida poi l’attività missionaria in favore degli Angli, ancora pagani, a cui inviò Agostino di Canterbury, con altri compagni, che egli da Roma seguì con vigile cura. Saggio ed acuto amministratore, ebbe doti eccezionali specialmente nel governo del patrimonio della Chiesa di Roma (Patrimonium Petri), vastissimo nella sua estensione, disperso in diverse regioni d’Europa e vario, da luogo a luogo, nella sua consistenza economica. A ogni gruppo patrimoniale G. prepose un rector, persona di sua completa fiducia (famoso fra tutti il diacono Pietro), cui attribuì, oltre i poteri amministrativi, anche un’autorità spirituale. A tale attività va aggiunta la sua opera di scrittore e di liturgista. Oltre che nelle 854 lettere raccolte in 14 libri, permeate di forza morale e di fervida fede, la grandezza di G. come scrittore si manifesta nella Expositio in beatum Iob libri XXXV, famosa nel Medioevo come Moralia in Iob, foltissimo commento al libro di Giobbe, in cui il testo biblico è punto di partenza per le più svariate riflessioni e meditazioni morali e religiose, miniera da cui attinsero tutti gli scrittori, pensatori e teologi del Medioevo; la Regula pastoralis, scritta al tempo dell’elezione pontificale e dedicata a Giovanni in cui G. traccia l’ideale del perfetto sacerdote, che ebbe la più profonda eco nella coscienza medievale. Emanazione diretta del ministero sacerdotale di G. sono poi le quaranta Homiliae in Evangelia, in parte lette e in parte dette ai fedeli nell’inverno del 590-591. Tutte dette al popolo, durante un assedio dei Longobardi a Roma nel 593-594, le ventidue Homiliae in Ezechielem, piene d’orrore del presente e, a un tempo, di virile coraggio per affrontarlo. Di tono popolare sono anche i Libri IV dialogorum de vita et miraculis patruum Italicorum et de aeternitate animarum. Dedicati al diacono Pietro e destinati alla edificazione dei fedeli, questi dialoghi hanno avuto la più vasta fama anche perché tutto il libro II costituisce la prima biografia di s. Benedetto. G. ebbe grande influenza, anche se oggi non precisabile del tutto nei particolari, sia nella successione delle preghiere della Messa (a lui risale infatti un Sacramentarium, almeno nella sua parte più antica), sia nel canto ecclesiastico, per cui predispose un Antiphonarium e dettò le norme fondamentali del canto che da lui non a torto trasse poi il nome di “canto gregoriano”. G. è uno dei quattro dottori occidentali. Venerato subito come santo, il suo nome compare nei Martirologi fin dal sec. 7°; la sua festa ricorre il 12 marzo, giorno della sua morte. ▭ Raffigurato come papa, il suo aspetto e i suoi abiti variano col variare degli abiti e del tipo iconografico ideale del papa. Come dottore della Chiesa, è spesso raffigurato con gli altri suoi tre compagni a partire dal 14° sec., ma con Girolamo e Agostino appare già sul piatto interno del dittico di Boezio (7° sec., Brescia, Museo Cristiano). Suo frequente attributo è la colomba che gli bisbiglia in un orecchio, secondo la leggenda che vorrebbe che in tale colloquio egli fosse stato sorpreso dal suo scrivano, cui egli dettava le parole ispirate dallo Spirito Santo. Tra gli episodi della sua vita, più o meno leggendarî, particolare successo ebbe dalla fine del sec. 14° la raffigurazione della cosiddetta “Messa di s. Gregorio”, in cui il Cristo con i signa della passione appare al papa celebrante; più rara è la raffigurazione dell’episodio della reliquia della tunica di s. Giovanni (brandeum) non ritenuta autentica e che, tagliata da G., gronda sangue. Altra scena caratteristica è quella di G. che libera dall’inferno l’anima dell’imperatore Traiano (alla leggenda credette anche Dante, Purg. X, 75). Durante il Medioevo molte leggende circolarono su G., cui erano attribuiti straordinarî poteri magici. Egli avrebbe anche fatto cessare la peste che affliggeva Roma portando in processione un’icona che la tarda tradizione identifica con quella dell’Aracoeli. Umanistico il mito che G. fosse il principale responsabile delle distruzioni dei templi e degli edifici antichi.